Educazione all'empatia istruzioni per giocare meglio

Educazione all'empatia istruzioni per giocare meglio

Premi start

di Simon Larocca

08/05/2025

Più di una volta vi abbiamo parlato di quanto il Videogioco, inteso come media interattivo e mezzo d’espressione a trecentosessanta gradi, sia potenzialmente portatore di benefici e miglioramenti nella vita di ognuno di noi, se gestito con criteri sani e consapevoli.

Esattamente come ogni altro strumento tecnologico inventato dall’uomo, dalla ruota al di fuori delle caverne fino al più recente e avanguardistico dei visori per la realtà virtuale. Il discorso sull’Empatia nei e grazie ai videogiochi non può che partire dall’ultimo ritrovato in fatto di connessione neurofisica tra avatar e utente.

Ogni esperienza videoludica ci mette nei panni di qualcun altro (o qualcos’altro), garantendoci il diritto e il dovere di vivere il gioco in un modo completamente diverso da noi stessi e la quotidianità che ci circonda, che fa parte del nostro vissuto.

Esperienze ambientate in altri mondi, seppur fittizi, con le proprie regole di convivenza e strutture socioculturali favoriscono la consapevolezza del proprio sé in rapporto all’altro, creando così legami empatici e migliorando la percezione delle condizioni di vita altrui.

Empatia. Che cos’è? Il dizionario ci viene in soccorso definendo l’empatia come la capacità di porsi nella situazione di un’altra persona. Definizione che nasconde un mondo di significati, in grado di sfidare apertamente i paradigmi del passato.

Pensiamo a Life is Strange, che ci permette di vivere un frammento della vita di una sedicenne con dei poteri straordinari: per mezzo di Max e le sue sensazioni, siamo in grado di (ri)vivere il periodo liceale, con tutte le sue problematiche e piccoli grandi traumi. Ripercorrendo la storyline principale, scopriremo verità tragiche e orizzonti sovrannaturali, ma le emozioni potenti che la protagonista vive arrivano a noi, ci connettiamo con lei scoprendo quanto sia difficile scegliere di vendicarci oppure no della bulla della scuola, se corrispondere un bacio rubato dalla migliore amica o sacrificare i sentimenti nascenti per un quieto vivere. Videogiocare come modo per capire meglio il mondo e insieme atto di ribellione in una società non sempre aperta a comprendere minoranze di ogni tipo, dai reietti agli emarginati.

E non è tutto: pensiamo ai bambini.

Con un controllo razionale ed educativo, il videogioco può aiutarli a sviluppare principi fondamentali di empatia che rischiano di andare perduti nel marasma che una società ipercinetica come la nostra gli getta addosso, priva di filtri. Personalmente, credo sia fondamentale possedere un’impronta empatica che vada oltre l’identificazione superficiale delle emozioni altrui.

In parole povere, non basta che ci rendiamo conto del fatto che le persone stiano soffrendo, ma instaurando un legame d’empatia abbastanza forte potremo farci carico di tutto questo, capirlo sul serio e fare tutto ciò che è in nostro potere per annullare le condizioni per cui possa ripresentarsi di nuovo.

Vivere nei panni di qualcun altro, ricordate?

Ora pensate a titoli moderni come Split Fiction, dove è necessario coordinarsi con il nostro partner di gioco e sviluppare un vero e proprio gameplay simbiotico per poter procedere nell’avventura, oppure Heavy Rain, nel quale nei panni di un padre disperato dovremo ritrovare nostro figlio rapito da un serial killer. Vi assicuro che il batticuore che si prova mentre raccogliamo indizi senza sapere se e quando ritroveremo, vivo o morto, il sangue del nostro sangue, è qualcosa di palpitante, che vi farà tremare, letteralmente.

Identificandoci con i nostri eroi ed eroine, empatizzando con le loro traversie, le tragedie ma anche le gioie della loro esistenza di pixel, saremo in grado di percepire la realtà in cui viviamo con uno sguardo che forse non sospettavamo di possedere.

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Simon Larocca

Scrittore e socio di Retroedicola Video Club

Mi chiamo Simon Larocca, e sono un videogiocatore, collezionista e amante della cultura pop in tutte le sue forme. Vado al cinema ogni volta che posso, leggo da quando porto gli occhiali, quindi da sempre, e ho la passione per lo storytelling in tutte le sue forme, così dirompente da farla diventare una professione. Ma come direbbe Doc di Ritorno al Futuro, non ci sarebbe presente se non si guardasse al passato con rispetto e ammirazione, ed è il Simon bambino di più di trent’anni fa, anno più anno meno.

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